Mi sveglio con uno strano rifiuto al “dover camminare” nonostante il ginocchio dia buoni segnali ai primi movimenti.
La colazione fortunatamente mi cambia l’umore e la strada che inizio a percorrere sembra semplice. Il percorso attraversa la città di Ponferrada e mi spinge verso le campagne. I sentieri sono larghi e si fanno spazio tra colline colme di alberi da frutto ancora acerbi.
I sandali (indossati con le calze) sono il rimedio più valido che ho trovato oggi per poter proseguire, mentre gli scarponi da trekking appesi allo zaino continuano a restare umidi.
I primi 12 km trascorrono veloci, in un clima fresco. Il cielo rimane coperto finché, camminando, vedo comparire sull’asfalto la mia ombra. Un raggio di sole mi rende fiduciosa.
A pranzo, mentre mangio uno dei piatti veg più buoni trovati sulla strada, sento il ginocchio che sta iniziando a gonfiarsi. Sull’ ultimo boccone arriva da fuori un ticchettio inconfondibile e ritmato che risuona sui vetri delle finestre.
Ci si lancia un’ occhiata tra pellegrini: un’ altra bomba d’ acqua sta arrivando!
La mia mente troppo poco “problem solving” scandaglia a razzo valide alternative. Non posso permettermi di fare 7 km sotto l’acqua, partendo con delle scarpe già bagnate, un ginocchio-cotechino zoppicante e senza un paese a metà strada dove poter fare una sosta.
La scelta di prendere l’autobus si rivela tanto scontata all’ inizio quanto moralmente insostenibile dopo.
Mentre sono sul bus e percorro la strada mi parte un nodo allo stomaco e gli occhi mi si riempiono di lacrime. Mi trattengo e provo a farle rientrare mentre il resto del corpo viene investito da un senso di colpa, misto tradimento e fallimento nei confronti del Cammino.
Scendo dal bus e scoppio in lacrime.
Mi riprendo, solo dopo aver passato 1 ora sul letto fissando il muro fucsia della stanza del convento in cui alloggio.
“Perché è successo? Perché non mi sono incamminata a piedi prendendomi tutta l’acqua che mi meritavo? Magari sarei arrivata bagnata, ma soddisfatta. E invece sono qui, asciutta e mi sento uno schifo, in colpa, poco meritevole e sconfitta“.
Comprendo solo dopo che l’ auto-competizione, nel mio caso, viaggia a braccetto con l’ auto-distruzione. E io me la sto portando dietro già da 100 km. Mai l’avevo sentita così forte. Chiedere a se stessi sempre cosi tanto da non bastarsi mai.
MAI.
“Se arrivi a 100 puoi fare 110”. L’ accettazione dei propri limiti non viene contemplata dalla mia mente. “Ma perché non posso sentirmi ok facendo la metà?”.
Eppure non ho frequentato la scuola degli eroi e non si vive bene così. Per niente.
Non era la resilienza sotto la pioggia il mio insegnamento di oggi. Ma riconoscere un mostro interiore, ancora più grande, che mi ha sfidata e che mi trascino dietro da ormai troppi passi.
Anzi, da SEMPRE.
“La via del saggio è agire ma non competere”
Lao Tse