Srotolo il tappetino, accendo una candela, tolgo i calzini. I piedi sono quasi paralleli tra loro. La schiena dritta tiene il corpo compatto.
Tadasana sembra una posizione quasi sconosciuta dopo due settimane senza pratica. Chiudo gli occhi e mi concedo di ascoltare. Il fondo è diverso. Non ci sono più scarpe, i piedi sono liberi. Solo uno strato da 0.5 cm di materiale morbido li separa dal pavimento. Il corpo è forte. Sento i polpacci attivarsi ad ogni micro spostamento che mi tengono in equilibrio. Le spalle ancora si curvano in avanti. Piu delle altre volte. Lo zaino ha sicuramente fatto la sua parte.
Inspiro dalle narici portando dentro tutta l’aria che posso. Il profumo di casa mi riporta immediatamente al qui ed ora. Un richiamo alla realtà che arriva come un coltello nello stomaco. Non ci sono più sentieri, boschi, grandi campi di grano da attraversare. Non ci sono segnali da seguire, persone da incontrare.
Sento il corpo scivolare piano piano in uno stato malinconico. Come se d’un tratto, tutta l’esperienza vissuta sia stata trasformata in droga e la dose quotidiana non sia più disponibile.
Espirando mi lascio cadere in un pianto. Genuino e riparatore. Penso che prima affronto il ritorno e meglio è per tutti. Me compresa. Insieme alle lacrime mi scivola addosso quel Senso di Possibilità che avevo sentito i primi giorni di Cammino.
Può svanire tutto così in fretta?
Quel giorno la pratica si è trasformata in contemplazione. Non c’erano asana, rilassamenti, silenzi interiori.
Solo domande, ancora troppe senza risposta.